Il bello, il brutto e il prostetico. Gli effetti speciali tra horror, moda e corpo
corso trucco effetti speciali

Dal buio del grande schermo emergono creature xenomorfe e corpi contorti, mentre sulle passerelle le protesi scultoree rimodellano volti e membra, spingendo la moda ai limiti del perturbante. Dietro tutto questo ci sono gli effetti speciali, che attraversano cinema, fashion e performance estreme. 

Ibrido, inquietante, irresistibile: il grottesco trasforma deformità e disturbo in attrazione viscerale.

L’estetica del grottesco: tra make-up prostetico e identità

Ma perché il macabro e il deforme sono diventati così attraenti?

Il corpo grottesco è un corpo che rompe i confini, che degrada ogni idealizzazione del bello perfetto, riducendolo al materiale, alla carne, all’aberrante. Se prima era un tema legato al cinema horror, dagli anni ’80 prolifera l’immaginario grottesco anche nell’arte e di conseguenza nella moda contemporanea che mette in discussione gli ideali di bellezza occidentali tradizionali ed esplora la bellezza di corpi queer e non-normativi. 

Il grottesco contemporaneo si interessa a come i corpi diversi dalla “normalità” vengano trattati come mostruosi—e nel rovesciare questa percezione, il deforme diventa manifesto politico, celebrazione della differenza, rifiuto dell’estetica borghese.

Ed è qui che entrano in scena gli effetti speciali. Gli SFX, dal trucco prostetico, maschere, protesi, fino a cyborg stampati in 3D,  trasformano il corpo in materia narrativa, rendendo visibile ciò che prima era da nascondere. Nati per dare vita a mostri, alieni e feriti di guerra sul grande schermo, oggi gli effetti speciali sono diventati un vero e proprio linguaggio visivo, uno strumento di narrazione, provocazione e ridefinizione dell’identità.

Cinema ed effetti speciali: i maestri del terrore

Il cinema horror ha consacrato il trucco prostetico come arte a sé stante.

 Rick Baker, detentore del record di sette Oscar su undici nomination, ha vinto il primo premio competitivo nella categoria trucco per Un Lupo Mannaro Americano a Londra (1981)—una scena di trasformazione che ha ridefinito il genere. Baker e il suo team hanno creato numerose teste e arti soprannominate “Change-o”, che venivano scambiate attraverso varie fasi della metamorfosi, mentre l’effetto di stiramento della pelle è stato ottenuto con un materiale unico che si dissolveva nel tempo. Il risultato? Ossa che si spezzano in tempo reale, muso che emerge dal volto, realismo anatomico che fa ancora rabbrividire.

Tom Savini, il “Padrino del Gore”, ha trasformato la sua esperienza come fotografo di guerra in Vietnam in una maestria viscerale nel creare ferite e carneficine realistiche. Con Dawn of the Dead ha creato la sua palette di marchi distintivi—arti mozzati e morsi—e in Friday the 13th ha ampliato il suo repertorio di sangue e gore, inventando nuovi modi per uccidere gli zombie: dalle teste che esplodono per colpi di fucile agli scalpi strappati dalle lame degli elicotteri. 

Carlo Rambaldi, genio italiano degli effetti speciali, ha portato a casa tre Oscar creando alcune delle creature più iconiche della storia del cinema. Ha vinto per il pupazzo di King Kong alto 12 metri nel 1976, poi per i meccanismi sofisticati della testa dell’Alien con le sue mascelle retrattili, e infine per la sua creazione più famosa: E.T., mescolando design meccanico, elettronico e ingegneria dei sistemi con un’immaginazione senza limiti. In un’era in cui l’AI sta inizaindo a prendere il sopravvento nella produzione, il lavoro di Rambaldi continua a emozionare perché tangibile, viscerale, reale.

Stan Winston, genio dell’animatronica, ha dato vita all’endoscheletro del Terminator, alla Regina Aliena a grandezza naturale in Aliens, ai Predator, e ai dinosauri di Jurassic Park, costruendo due T-rex animatronici a grandezza naturale—uno lungo undici metri. Winston ha dimostrato che gli effetti pratici battono spesso il digitale: i suoi mostri respirano, sanguinano, terrorizzano perché sono lì, fisicamente presenti sul set.

L’eredità di questi maestri vive ancora. Basti pensare a The Substance di Coralie Fargeat, che l’anno passato ha vinto l’Oscar per le protesi indossate da Demi Moore e Margaret Qualley, trasformando corpi in paesaggi horror di carne degradata e metamorfosi disturbanti

Quando la moda incontra il make-up prostetico

Non c’è solo sangue e zombie: c’è corpo, carne, artificio, e la moda che gioca con l’impossibile. Alexander McQueen, il visionario che per primo ha portato gli effetti speciali sulle passerelle, ha trasformato il corpo in un campo di battaglia tra bellezza e disturbo. Nella celebre Plato’s Atlantis (PE 2010), modelli torreggianti con pinne e lineamenti alterati da protesi sembrano usciti da un deep-sea fever dream, creature aliene in passerella. Il gesto più radicale arriva con la collezione No.13 (PE 1999), quando la modella e atleta paralimpica Aimee Mullins sfilò con gambe protesiche intagliate a mano in frassino: la disabilità diventa dichiarazione di alta moda. McQueen lavora con leggende del makeup come Val Garland, Sharon Dowsett e Peter Philips; Garland ricorda lo show Voss: “tutte le teste erano bendate, occhi allungati, tutto soft e ovattato, un’illusione chirurgica di perfezione deformata”. Con McQueen, l’anti-estetica diventa estetica.

Da quel filo, la passerella diventa laboratorio post-umano. Alessandro Michele con Gucci A/I 2018 riprende l’eco del Cyborg Manifesto di Donna Haraway: teste mozzate tra le braccia, occhi supplementari, draghi e serpenti come accessori. 

Paris Fashion Week 2025: Duran Lantink e Balenciaga scolpiscono addominali, zigomi e seni; six-pack in silicone, seni rimbalzanti protesici, zigomi e labbra iperaccentuati grazie a Inge Grognard. 

Anche il sottobosco più sperimentale del fashion system ha adottato protesi come linguaggio:

Rick Owens ha collaborato con Salvia per la sua collezione autunno/inverno 2019, portando sulla passerella un’estetica aliena e distorta. 

Fecal Matter, duo canadese, ha portato la distorsione del corpo a nuovi livelli con scarpe che simulano la pelle umana, con tanti di peli. La loro estetica sci-fi e post-umana esplora l’ibridazione tra corpo attraverso la provocazione delle regole sociali.

Isamaya Ffrench ha contribuito a questa fusione tra moda e trucco prostetico.  La sua collaborazione con Burberry ha visto modelli trasformati in creature fantastiche, con un’intensità visionaria che sembra uscita da un’inception di  Björk e Blade Runner.

«I designer stanno usando le protesi per sfidare i canoni di bellezza ed esplorare trasformazione e identità, creando una narrazione culturale più ampia», spiega Tanya Noor, docente al London College of Fashion. Ogni creazione diventa insieme performance. La moda non veste più il corpo, am lo riscrive. 

E gli effetti speciali sono l’elemento che rende possibile questa rivoluzione, un ponte tra estetica, politica e racconto visivo.

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