L’Armata Brancaleone di Mainetti
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Un viaggio collettivo attraverso una Roma devastata dalla guerra, una nuova armata brancaleone che non rinuncia a inseguire il proprio mito.

La storia è ambientata nella Roma del 1943, durante il secondo conflitto mondiale. La città ospita il circo Mezzapiotta dove i quattro protagonisti vivono come fratelli sotto la guida del proprietario e loro padre putativo, Israel che sta cercando per tutti una via di fuga dalla guerra. Quando quest’ultimo scompare improvvisamente, forse rapito dai tedeschi, Cencio, Fulvio, Mario e la piccola Matilde si trovano allo sbando, non c’è più chi si prenda cura di loro e soprattutto non c’è più la loro casa, il luogo in cui nonostante i loro poteri speciali si erano sentiti accolti, trovando finalmente una collocazione nel mondo. Senza circo si considerano invece solo dei “fenomeni da baraccone”e decidono quindi di mettersi alla ricerca di Israel, iniziando un’avventura il cui esito sarà determinante non solo per le loro vite ma per le sorti dell’intera guerra.

A descriverci la sua seconda opera cinematografica, dopo il grande successo di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, è proprio lo stesso Mainetti che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare in occasione dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma. 

Il regista infatti, durante il suo incontro ravvicinato, si è raccontato attraverso le illustri voci di tre maestri del cinema che ha rivelato essere stati fondamentali per la sua formazione e per la stessa genesi del film.

Svela così di aver raccontato i suoi freaks attraverso “lo sguardo tutto italiano con cui Monicelli narrava i poveracci alla continua ricerca del mito” un corpo comico, un’armata brancaleone appunto “che pur non trovando mai la propria epica, non smette di inseguirla”. 

Nei suoi personaggi invita poi a ricercare quella “tridimensionalità emotiva” presente già in Jeeg Robot, a scavare sotto quelle “maschere tragiche che fanno ridere, che alleggeriscono e raccontano emozioni” per portare alla luce la vera umanità.

Quella stessa umanità che Sergio Leone nobilitava parlando degli ultimi: “raccontava le storie degli umili, in un mondo in cui andavano avanti solo gli eroi” afferma Mainetti, spiegando come abbia voluto impiegare lo stesso tipo di approccio anche per i suoi supereroi, presentandoceli inoltre sotto quello “sguardo ironico romano” distintivo delle opere di Leone e “capace di parlare a tutti”.

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Per ultimo ci parla poi del suo regista preferito in assoluto, Steven Spielberg e di come il suo sogno sia sempre stato quello di fare un cinema simile al suo, capovolgendo la prospettiva delle cose e “raccontando storie di personaggi veri in contesti fantastici”.

Con Freaks out però “il fantastico lo porto in uno spazio mio, in un contesto neanche nazionale, ma regionale. Anche con Jeeg ho sempre immaginato che il contatto col mondo dei supereroi avvenisse in uno spazio definito, dove lo spettatore sospendesse l’incredulità” riconoscendo i personaggi e le loro storie come assolutamente veritieri.

L’incontro si è infine concluso con la proiezione in anteprima mondiale dei primi otto minuti del film, in cui il cambio di registro dal magico al reale, già ben percepibile nel trailer, ha trovato piena conferma. Mainetti, visibilmente emozionato, ha poi contribuito a far rimanere tutto il pubblico presente in sala col fiato sospeso fin quando le luci non si sono riaccese.

Un caloroso applauso era davvero l’unico modo per accogliere una pellicola che già dal suo incipit rivela la natura di un vero e proprio capolavoro.

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Di Agnese De Martis

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